non v’è una via logica per scoprire
queste leggi elementari.
C’è solo la via dell’intuizione.
Albert Einstein
I
com’è giovane e fragile o Albert e sublime
questa mente ch’è tutto e non sa ancora esserlo
dio dimezzato
nei nuovi pianeti che ti abitano
forse ora sai dei Suoi pensieri il nodo
come chiedeva nondum saziata la tua sete
II
da questo pozzo di beatitudine
ora il catalogo è questo
nella sua danza ai margini del bang
l’Hubble orbitante ci ha svelato il sogno
concentrico ed espanso d’una stella morente
milioni d’anni dietro il nostro sole
e nello spazio d’un grano di senape
miliardi di galassie collassate
il più lontano è quindi nel vederlo
solo memoria e il più vicino un tantra
subliminale abbaglio nello spettro-rondò
d’un passaggio bachiano tra le dita di Gould
a destra dell’Eufrate
ai margini settentrionali dello Shattel Harab
l’homo erectus ha scoperto il suo fossile
scavando fosse comuni per ludi razziali
alternando splendori di piramidi
e babele di templi Dei ibernati
nella bianca lussuria di marmi
alternando ori di lauretane litanie
e mausolei selgiuchidi nei nomadi deserti
a spettacoli-delirio di miracoli
ancora i preti esorcizzano vergini
e visionarie isterie come possedimenti
d’un angelo caprone che ha poi per sua “essenza”
l’impotenza? creandi et coeundi’
siamo dunque a mercè di chi si esclude
un solo pensiero originale?
La civiltà dei transponder ha uno scotto
di miseria che ci leviga
in amplessi mentali di demenza?
I miei chierici cauti girasoli
annusano sempre da distanze immani
il fiato del potere
ipotenusa di un trapezio di vele
sghembe per ogni vento
anche i poeti che per molte lune
disperanti hanno veduto solo
il proprio ombelico e il suono fesso
anoressico lemma della parola
ora hanno folle da stadio e cyberspazio a disincanto
d’una suprema vanità concessa all’incapibile
da qualche parte di somailand
per ottusa religio di teologi maschi
la clitoride escissa da mammane infette
piccole donne s’odieranno d’esser nate
e il dio dei talibani ha presbiti spiragli
dai burka delle sue donne
su un mondo di nuova sodoma
il nostro tempo è l’apogeo del tutto
e del nulla teso ai vaticini
dei suoi profeti nani
e l’apparenza è mito e il mondo è moda
d’ogni vacuum che si sente inesprimibile
III
Crick obeso di Nobel dopo l’elica doppia
si vorrebbe scoprire la coscienza
in un gioco di sinapsi
inutile arroganza di giocarci a dadi
gli dei per acquietarci
fascinazioni d’infinito
forse andremo su Marte da quest’ansa-splendore
che più non ci contiene
per l’innesto di fughe a ignote rive
dove sostando mai sazi di risposte
ci attendono occhi obliqui che amammo
e i tuoi incontri? Chi amasti e fu genia
dei tuoi nuovi cosmologi dialetti?
venne all’incontro Euclide d’Alessandria
dai lucidi Porismi ad iniziarsi
ridendo alla tua nuova geometria?
ed il Pisano a cui ricostruisti
la luce e i suoi parametri?
la cinematica cui desti la variabile
quarta del tempo è solo un breve assaggio
dell’incognito nostro
pare poi non sia più valida l’ipotesi
delle tue perfide equazioni
per cui quest’universo debba chiudersi
su se stesso a occupare
un volume finito
chiedi al signore dei “Principia”
se l’avergli deviata la sua mela
gravitazionale
non gli ispiri la nuova matematica
che verifichi il tuo “the meaning of relativity”
IV
dopo aver letto tutta la poltiglia
filosofica degli ultimi
concedendomi un sommo vizio estetico
in questa estate di cicale astiose
ho riletto come un poema il tuo “Concetto
di spazio in Cartesio”
che n’è rimasta della piena mistica
nell’ “Andenken” e l’Heidegger
del “progetto impossibile”?
e la tautologia linguistica di Witt?
quanti mostri-maestri del nulla
evaporanti mentre tu cercavi
temerario viaggiatore dell’irrazionale
il grande campo unitario
e dimmi esiste questa postulata
“singolarità”
curva infinita spazio-temporale?
E siede la tua sapida lingua sulla sponda
d’un orizzonte degli eventi
per spingerti nella fornace dell’ignoto?
V
quanti altri suoni sono emersi
dal pentagramma del tuo seme e indimostrati
quasi fossero il paradosso
della scoperta dell’ottava nota
per l’ottava nota un nuovo Stradivari
annuserebbe alberi di usignoli mutanti
e vibrazioni dei venti che levigano
violini che attendono il ritorno di Mozart
ma dimmi Albert che rimane ai millenni
del nostro sogno d’estrema conoscenza
e degli stupri
dei grandi idioti della terra?
S’aggruma in grande oblio quanto costruimmo
o è indelebile marchio che s’evolve
ogni segno ch’è nato da coscienza?
Sul terzo pianeta dei soli d’Orione
abbiamo inteso un eccellente ciclo
delle londinesi di Haydin
è una metèssi cosmica l’osmosi
di grandi menti
il mio maestro gesuita innominabile
per supreme eresie e perciò mago
sciamano della giovinezza
alla mia smania d’ “oltre” citò una vertigine de I Ching
“non dissiparti nell’illimitato”
non chiederti cioè i nessi razionali
d’un rosso di Pontormo
del convitato di pietra
del dito del pantocràtore sistino
e d’un brandenburghese
la storia è come un’onda
che si concede sempre alla risacca
ma lasciando
schemi-luce mai uguali sulla rena
per lo stupore di creare sicut deus
VI
sono tornato da Parmenide ad Elea
in questo mare magno è l’essere e il pensare
sostanza e mutazione
l’abisso dell’ignoto ch’è contiguo all’assoluto
risposta non più amara e spaventevole
ai ragni dell’inesplorato io
in questa shakti-topazio s’immersero
tutti i maestri dell’alfa
metafisici istrioni del silenzio
sempre al confino d’altre sirene
altre convesse dannazioni
le ali scisse e bagnate dalle grandi
ultime domande luminose
in questo cerchio d’armonia
dono mai tollerato delle sette di monete false
è in agguato l’estenuante carezza
d’un amante piede di deserto
mani-favi di opulento miele d’etèra
innocenza d’antichissima scienza
l’amante saggia e crudele della follia
“wo nicht trugkeiner mutter scholl” (dove non mi ha portato il grembo di nessuna madre)
l’altra terra di Klee l’ “elend” si innalza
oltre le torri del silenzio dove i morti
di Zoroastro erano esposti al grande balzo
come sa togliersi dai fianchi
la sciarpa rossa dei desideri
inesausti – inesauditi
per celebrare i riti di regina della notte
è lei il quinto angelo d’apocalisse
cui è data la chiave che schiude
il pozzo dell’abisso
VII
dovrò riscattare l’entropia dei sogni
in solitudini di angeli neri
voli di trapezio su vuoti siderali
oggi ha smesso i suoi calzari di vagabondo
il tuo amico Erdos funanbolo della matematica
ricordato da un ozioso asterisco
non per genialità ma per l’asimmetrica misura
d’aver attraversato la vita
vuoi invece la costruzione osannata
d’un uomo d’oggi?
dopo una vita sciancata finì il viaggio
in stato anagogico non sopportandosi
il coraggio estremo del grande dubbio
e il sorriso di Voltaire oltre il confino
questo “maestro” ha lasciato una donna
che scoprendosi un potere riflesso
ha riordinato le loro stagioni superflue
in un archivio di talento
la sua bellezza ha stuprato cervelli
che le hanno dedicato polluzioni storiche
di parole e musei di roccia
per gli arabeschi di sabbia
dell’istrione del niente
la sua prima opera fu “crateri lunari”
pisciando su trucioli di resina
l’ultima la lunga bava di un ofide
sul barocco stupore dei giovani storici d’arte
esperti di graffiti
dai cessi di Manhattan
alle ali di Castelsantangelo
il mentore e demiurgo di quel trash
gnomo viso di testuggine
ha vendicato la sua storia increativa
assegnando glorie a mercanti di sete
ospitati tra Leonardo e Piero
dove cadrebbero le nere aritmie
di uccelli migratori protesi all’indefinito?
VIII
il viaggiatore temerario della bellezza
parola ormai tumida di inverecondie
il viaggiatore temerario che ancora sente
dopo infiniti olocausti
ancora l’urlo della shoah
vorrebbe solo una supina sazietà di Shaharazad
storie che profumino d’aloe salomonico
dell’estasi del vuoto di dio
sul cerchio di pietra
del semitico pozzo di Agar