I
De profundis o madre l’inesausta
chiara tristezza e queste lunghe lune
ti chiamano e le stanze luminose
ancóra mi posseggono all’incanto
delle verdi stagioni della luce
sono tornato dall’illimite
per la felicità di nascermi da un sogno
tuo acerbo di granoverdemaggio
Lucania lucis l’eden tra la torre
normanna di Tricarico e le selve
di lupi che odoravano di neve
e falchi neri le ali di rugiada
inseminati da sapienza i venti
grand’inventori di storie e di sciarade
sulle flotte ulissiache dei sogni
e l’avida di spazi
Genzano emersa da abissali
valloni ebbri d’aglianico e di risa
scenografia arrogante per attori
cattivi contro il cielo come solo
sanno esserlo per genìe segrete
le progenie di Orazio e di Pitagora
matematica e mistica lubrica e libertà
crudele sole nostre ospiti
II
e ancóra andiamo per queste strade di vento
con un frullo di stelle tra le ciglia
Lucania lucis come allora andiamo
quando ancora sottile nel tuo ventre
sentivo raggrumarsi i vaticìni
delle imminenti apocalissi e glorie
ma è sublime vertigine del tempo
il grande gioco
di frantumarci nell’oblio di ciò che fummo
e che saremo
e fu storia mai sazia
di coincidenti epifanie
nascere l’anno della croce uncina
che provava i suoi artigli d’acefalia deforme
devastando i colori ed il cuore di Klee
e per quali segnali d’elezione
egli mi rese la sua scienza
di render l’invisibile visibile?
III
quali segni esaltanti e disperanti
protessero da intrighi
la mia stupefazione a menti aliene
perché annulla i dies irae della storia
il sonno d’un bambino
perché si aprivano le vene
di dèmoni e sibille e di profeti
tra le dita
di Michelagnolo che urlava
al suo papa i crediti mancati
dei lapislazzuli sistini
per quali segni
a pretesto di fame si compose
Amadeus il suo Requiem
e può un blu-viola distico
disperare all’abiura d’un amore?
IV
ed ora che traslata la tua forma
e lunare innocenza
hai superato l’ultimo confino
dove hai scienza del nostro paradosso
sai perché le cento teste dell’idra
furie dell’ombra attraversarono
il grande enigma delle nostre vite
e del mondo
perché dopo l’abbaglio delirante
di più soli immortali
in un’alba porgesti a me il sudario
del fratello
con lo stupore di tutte le madri
cui in quel tempo rovente in un crogiolo
di fumo si strapparono quaranta
milioni di figli
ora tu sai perché sedevo sempre
su orli d’universo e ad ogni balzo
non s’esauriva ancora la mia sete
e ancora… e ancora
V
e poi ti raccontai gli occhi di Luis
d’arcobaleno sceso nei recessi
degli oceani e dei vuoti siderali
occhi che soli hanno percorso
il mio stellare labirinto
ti raccontavo i viaggi da mutante
tra città dagli acùmini di diaspro
non abitate
ma impregnate da abitatori-luce
con scale che salivano a volute
arditissime al nulla interrompendosi
come accade
ai percorsi-pensiero degli umani quando
dopo gli arditi giri del troppo chiedersi
sperdendosi sull’improvviso balzo
della rarefazione d’assoluto
dell’acuto abbisognano d’un volo
VI
de profundis ti chiama questa chiara
tristezza e già un disincarnato alto
canto mi porta ai nostri
campi dello splendore
le mie ali si chiusero a uno spazio
d’attesa appena
stanche
creature ho amato senza le radici
che il dolore esorcizzano
con incensi d’abiura
alla vita e gioie
d’atarassìa
ancora molte teste di quell’idra
miti d’alterità aberrante
a intelligere nostro evolutivo
VII
per quei lampi comete-apparizioni
che danno il senso e il conto
di viverci fluttuati dalle stelle
per quei percorsi curvi d’occhi chiari
levitanti alle estreme
regioni della mente
e all’immisura
delle nostre stagioni capovolte
nell’incommensurabile
questo è il dono maturo delle nostre
storie che finalmente
coincidono elidendosi in un punto
essenziale