non so come né quando
ti ritroverò inventata sull’adagio
cappaseicentoventidue
sulla rena s’adunano
meduse di tristezza
non lascerò che queste
bave di luce si aggrumino
ectoplasmi di pietra
a tentare le mie nuove orme
rigetterò queste sirene amebe
di mercurio freddo
nell’acqua che le danzerà
sul filo dei tramonti
allora disporrai le note
come costellazioni arbitrarie
sul pentagramma dei miei segni
lui ha piedi di roccia e mancamenti
d’arenaria
e malinconie mature
pronte a sbucciarsi sui fianchi
d’una lunga attesa di donna
io ho labbraferite
stupori sulla pelle e distrazioni
sempre contigue ai predatori
di smarrimenti
disegno mondi che si leggono
con una fuga in avanti di sismografi
presagi
Venezia apriva i tuoi fiori di miele
umori da dogaressa insaziabile
ma per gli addii
c’è sempre un’invenzione