mater

e forse ancora sentirai
supina la mia voce mentre tendi
le mani
da una distanza superflua

l’aquilone dei miei naufragi
ha teso il vento

l’ellisse s’è aperta
valva matura circoncisa

quante volte hai fermato
il filo del tuo chiederti  “ho sentito
mentre cadevi”  quante volte
mi ha ripreso il tuo ventre
per astuzia incredibile di madre
sapendo gli anni
che mi devastano e l’impossibile
gioco di sottrarsi
ai miei sublimi fallimenti
mai accettati
dalle tue fedi ostinate

non posso darti una definizione
del più e del meno

per i miei spazi la risolvono
meno male i miei critici d’arte
gli unici che ne hanno un’equazione

per la mia libertà
l’hanno data sputando sul mio genio
appena il non costringermi al possesso
mi dava l’altalena
della povertà sul pollice
e della ricchezza sul mignolo

i tuoi santi hanno partite doppie
col paradiso
e gli amici politici hanno fiordi
di braccia per lusinghe
ai mitomani antichi come la terra

chiedevi scriminature diritte
ai miei capelli di furia
candelabri d’oro e amori non dissolti
in solitudini caparbie

Giuseppe tornato dal Faraone
per le spighe dell’opulenza
ha venduto ai profeti senzavoce
il regno dei morti e le piramidi
e i ciechi camminamenti dello zenith
e le maschere d’oro degli dèi

un mattino lucano senzavento
evaporò i tuoi occhi
dai valloni cariati di sole

Genzano salpava nave sospesa
ad una vela di stupore

la cretadura dei calanghi
è ancora incisa dal sisma che violò
le tombe di madri
antiche come il Vulture

l’ombelico è imploso con la fine
del tuo riso e la levigata
asimmetria della ragione