metamorfosi

per ciò ch’è gia inciso di noi
dalla genesi dell’emanazione
le innumerabili vite si attesero
dopo i ventiuragano delle notti cosmiche
questo tempo immobile
sull’atollo dei bianchi coralli

il mosaico dell’antica arroganza
ha ancora le tessere d’oro
delle memorie degli dèi

dei morsi amari delle volatili arpie
alibi costruiti per soffiare
in vuote canne di letargo

di scafi neri su rotte
oblique

dei miti tatuaggio
antropofaghi sputi del peccato

peccato come invenzione sublime
di magi astuti

lasciami questa angelica torbidezza
che ha sempre spaventato
i miei amori in fuga
lasciami l’antisaggezza
di cavalcare i segni
dell’inverificabile

e i dèmoni evirati
dalla potenza di creare
lasciami questa lava che s’incrosta
in vapori di pensiero

lasciami i numeri delle coincidenze
come segnale dei fratelli astrali
lasciami il capo tra le sue
mani di steli verdi
ombre inquiete che vagano
sulla sua fronte di smarrimenti

lasciami ai cortigiani-faine
della mia superbia

questa notte prostrata ai nostri piedi
ha veggenze di metamorfosi cruente


sto attraversando la grande nube
risucchiata nell’amplesso
di mille fiere sudate
con sensi sfoderati come l’odio

il mio corpo di erba giovane
il mio corpo di giunco vecchio
attraversato da meteore

ecco la terra dove fui regina
amante dei miei fratelli

Ve nel giaciglio d’un tiranno di pietra
che uccisi scivolando
sulle sue vene di àspide

il regno dove ordii trame di maga
sui lunghi occhi di astrologi neri

ecco dove le pietre lapidarono
spezzandoli
i miei fianchi d’avorio

il suono acuto d’un guardiano di spazi

il grande fratello che devasta
un pianeta dai miracoli azzurri


il gigante guerriero
venuto ad inseminare la mente
d’un branco di scimmie prensili
ha un esercito di spade nane
sguainate
contro il petto invulnerabile
ma si lascia trafiggere dai mostri
dell’incredibile armata di pigmei

le mie orbite sono accecate
da ruvidi coltelli

il sacrificio d’abramo avrà una lama
di fede adunca

la ruota degli aztechi volerà sul carro
rovente di Isaia

sulle torrigiardino di Babilonia
le coppe immortali di Gilgamesh
versate sulle spirali di Samarra

come diamanti scorporati
dalla miniera
traslati a un equatore senza notti
le guglie delle città stellari
adorano nove lune
dallo spessore di diaspro cangiante

sono tornata dopo aver generato
tutti i figli dell’uomo
ma ho solo il tuo principio

Prometeo contro la montagna
divorato dagli uncini-invidia degli dèi

fummo inghiottiti ai confini
dell’universo quando ci destammo
corrotti dallo spavento di sapere

ora forse lavàti
dall’indifferenza delle paure
possiamo ridere